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Chiese

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Le chiese del Comune di Gallio

CHIESA DI SAN BARTOLOMEO

CHIESA DI SAN BARTOLOMEO

La Chiesa parrocchiale di Gallio, fu eretta attorno al 1162. E dedicata al patrono San Bartolomeo, apostolo, universalmente riconosciuto quale patrono della Corporazione dei Conciatori di pelli; arte quest'ultima molto praticata dai Galliesi fino dal lontano Medioevo.

Durante la Grande Guerra la chiesa fu distrutta, lasciandoci come unico ricordo la sua austera e maestosa facciata.

Al termine del conflitto, intorno al 1922, fu riedificata dov'era, migliorandone il coro e le fu messa a fianco un gentile e devoto oratorio dedicato alla Vergine Immacolata, inaugurato l'8 settembre 22.

M.Grazie

La Chiesetta, che si trova in centro a Gallio, risale al 1404 ed era dapprima intitolata a San Rocco, un tempo molto venerato sull'Altopiano.

In seguito, l'oratorio venne dedicato alla Madonna della Grazie. Per questo motivo all'epoca fu collocata all'interno una pregevole figura intagliata nel legno che rappresentava appunto Santa Maria delle Grazie.

Nell'1855, l'oratorio venne demolito perché pericolante a causa dell'umidità che ne aveva intaccato la struttura portante, per essere ricostruito grazie alla generosità di un sacerdote.

La chiesa vide nuovamente la sua completa distruzione nel 1916, a causa dei bombardamenti della 1° Guerra Mondiale. Ancora ricostruito nel 1922 fu inaugurato due anni dopo. L'oratorio, di pianta circolare, ospita una statua di Maria Ausiliatrice. Successivamente, questo tempio divenne anche monumento ai Caduti delle due Guerre.

Nel giardino si possono osservare alcune lapidi di caduti di guerra recuperate nei cimiteri militari.

CHIESA PARROCCHIALE DI STOCCAREDDO

CHIESA PARROCCHIALE DI STOCCAREDDO

Proprio nel centro di Stoccareddo troviamo la Chiesa Parrocchiale costruita per la prima volta nel 1669, grazie ad un’istanza scritta e controfirmata dal notaio Nicolò Fincati che permise alla popolazione di iniziare i lavori e nel 1671 venne benedetta. Questa Chiesa con un unico altare, fu sostituita da una nuova con tre altari, benedetta il 25 febbraio 1906,ma ebbe breve vita. Distrutta assieme a tutto il paese nella grande guerra, venne infine ricostruita assieme al campanile, così come la vediamo oggi, su progetto dell’architetto Vincenzo Bonato, in posizione leggermente diversa. La ricostruzione, iniziata subito dopo la guerra, termina nel 1923. Immediatamente ci si rende conto del grande valore architettonico della costruzione, tanto che viene presto considerata “monumento di interesse nazionale” dalla Soprintendenza dei Beni Culturali dell’epoca.

Ancora oggi la Chiesa di San Giovanni Battista Decollato di Stoccareddo resta unica nel Veneto , soprattutto per l’originale soluzione architettonica delle ardite capriate ogivali, che le hanno fatto guadagnare la definizione di edificio di stile “gotico alpino”.

Nel 1952 la Chiesa venne eretta a Parrocchiale di Stoccareddo e Zeibena, con territorio distaccato dalla Parrocchia di Gallio.

All’interno si possono ammirare quattro altari in marmo locale, ed una pala, posta dietro l’Altare Maggiore, raffigurante il Battista che sta per essere decollato e una via Crucis su tela formata da immagini del volto di Cristo, elegantemente incorniciate.

La facciata esterna presenta un affresco raffigurante la consegna ad Erodiade della testa del Battista poggiata sopra un piatto.  Nel 1956 fu sostituita con lamiere zincate la copertura del tetto in eternit, come tutti i tetti delle case ricostruite tra il 1919 e il 1922 nei paesi dell’Altopiano. Nel 2002 venne fatta una ristrutturazione generale interna ed esterna ultimata solo nell’agosto del 2003.

CHIESA DELLA CAMPANELLA

CHIESA DELLA CAMPANELLA

(dedicata a Santa Maria Maddalena)

L'anno di edificazione della Chiesa della Campanella non è certo; sicuramente però era servizio liturgico per gli abitanti delle Contrade Schivi, Campanella, Ronchi e Sambugari; tutte località aggregate sotto la denominazione di "Colonello di Ronchi".

Venne rimodernata nella 1° metà del secolo XIX ad opera dell'eremita Fra Giovanni Battista Casera di Agodo, ma come tutte le chiese dell'Altopiano fu rasa al suolo dopo lo scoppio della Grande Guerra.

La ricostruzione avvenne intorno al 192 e portata a termine l'anno successivo, quando fu benedetta e riconosciuta idonea alle funzioni religiose.

SACELLO DELLA MADONNA DEL CARMINE

SACELLO DELLA MADONNA DEL CARMINE

Collocato su un colle, appena fuori dal centro, in direzione Bassano, troviamo il Sacello della Madonna del Carmine. E’ un sacello votivo, innalzato sul colle Ferragh dalla popolazione di Gallio a scioglimento del voto contratto il 15 ottobre del 1944, con il quale i galliesi dapprima avevano richiesto l’aiuto celeste in propria difesa e successivamente avevano voluto ringraziare la Vergine per aver realmente protetto il paese dalla violenza cieca della Seconda Guerra Mondiale.

Infatti, durante gli ultimi anni del conflitto, l’Altopiano era invaso dalle truppe tedesche. Questi, si vendicarono sulla popolazione civile per le rappresaglie dei partigiani, distruggendo e bruciando case e deportando giovani e vecchi. Per questo motivo,  Gallio chiese aiuto alla Vergine al fine di salvaguardare il paese e i suoi abitanti. Al termine del conflitto, Gallio si rese conto di non aver avuto problemi e rappresaglie dall’esercito tedesco, che pur non gradito, si comportò discretamente durante il periodo di permanenza nel paese. A tal proposito, la cittadinanza volle che il giorno 16 luglio 1946, dopo la rituale processione sul colle Ferragh,  fosse benedetta la posa della prima pietra del sacello votivo. Un anno dopo fu inaugurato.

In seguito, durante un violento temporale, la statua della Madonna, retta sulla cuspide del Sacello, fu colpita da un fulmine e si frantumò. Venne ricostruita e si colse l’occasione per foderare e rendere più sicuro l’Edificio sacro.

Dal punto di vista architettonico il Sacello è di pianta ottagonale, con una statua della Madonna collocata sulla cuspide, ad imitazione del tempio elevato sul Monte Grappa

SANTUARIO DELLA MADONNA DEL BUSO

SANTUARIO DELLA MADONNA DEL BUSO

Uscendo dal centro, verso la frazione Stoccareddo, proprio là dove il fondo valle si restringe in una strozzatura che, allargandosi poi, continua in direzione di Valstagna,  tra due alte pareti di roccia è possibile scorgere, quasi addossato alla montagna, il Santuario della Madonna del Buso, o Santuario della Beata Vergine del Caravaggio.

La chiesetta si trova in un’angusta valle, in un luogo ricco di fascino e di mistero che invita al raccoglimento. Il modesto tempio, dedicato alla Madonna, appare come un umile fiore in mezzo a una cornice naturale ricca di verde, ma selvaggia: un invito a sostare e ad elevare lo spirito.

Qui nel 1829, in un giorno di primavera, approdò un eremita appartenente al Terz’ordine di S. Francesco: Fra Battista di Casera d’Agordo.

Quest’ultimo, di ritorno da uno dei suoi pellegrinaggi, in una sera di tempesta, rimase bloccato in località Buso, al riparo di qualche pianta. La mattina, dopo la nottataccia trascorsa, decise che lì, su quell’orrida gola, occorreva gettare un ponte che congiungesse le due rive. Inoltre, occorreva edificare una chiesina, punto di sosta per i viandanti e soprattutto luogo di culto della Madonna. Infine, era necessario costruire un minuscolo eremitaggio, dove egli stesso avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni da eremita.

Quello che sembrò l’ingenuo sogno di un uomo ricco soltanto di fede e di devozione a Maria, nel giro di quattro anni divenne realtà: ponte, chiesetta, eremitaggio furono costruiti, e successivamente venne innalzato anche un campanile.

Durante la Grande Guerra, nemmeno il Santuario della Madonna del Buso fu risparmiato. Occorrerà attendere la fine degli anni Venti per vederlo ricostruito nella forma attuale.

Chiesetta di Santa Maria delle Grazie

Chiesetta di Santa Maria delle Grazie

La chiesetta, che si eleva in Piazza Generale Turba agli inizi di Via Roma, in origine era dedicata a San Rocco e probabilmente venne edificata e consacrata ancora nel 1404 e riformata nel 1488, stando a quanto affermano alcune fonti storiche conservate nell'Archivio della Curia Vescovile di Padova.

Quasi un secolo dopo, esattamente nel 1563, in occasione della visita pastorale compiuta dal Vescovo Argo Girolamo Vielmio per conto del titolare della sede, il Cardinale Francesco Pisani, un cronista vescovile annotava nel libro delle visite pastorali che l'oratorio di San Rocco aveva bisogno di restaurazione e ristrutturazione; sotto la data 13 ottobre 1563, infatti, il cronista affermava testualmente:" …..vidit etiam capella Sanctii Rochi, et mandavit eam reparari, que est prope ecclesiam Sancti Bartholomei de Gallio" (Trad. …..vide anche la cappella di San Rocco e comandò di ristrutturarla, cappella che si trova vicino alla chiesa di San Bartolomeo di Gallio).

Il fatto che l'oratorio fosse originariamente dedicato a San Rocco è facilmente spiegabile e comprensibile, considerato che il Santo era assai venerato sull'Altopiano di Asiago, il cui culto si diffuse a partire dal secolo XV dopo che l'Altopiano dei Sette Comuni fece atto di dedizione alla Repubblica di Venezia nell'anno 1404, l'anno in cui l'oratorio venne di fatto costruito.
Percorrendo le tappe della vita del Santo, attraverso una biografia anonima, denominata "Acta breviora", composta in Lombardia proprio nel secolo XV, si viene a conoscenza che alla morte del padre Rocco lasciò la nativa Montpellier in Provenza per condurre vita da pellegrino in varie città d'Italia. Si prodigò ovunque, rivelando eccezionali poteri taumaturgici, nella cura degli appestati, dei quali finì per subire il contagio a Piacenza. Guarito, tornò in patria, dove subì il carcere. Nel 1485 le sue spoglie vennero traslate a Venezia, che divenne allora il principale centro di irradiazione del suo culto. Nella iconografia tradizionale il santo, popolarissimo come protettore dei pellegrini, degli appestati e dei prigionieri, è rappresentato in veste di pellegrino, con il cane che gli portò il cibo durante la peste, e una piaga sulla gamba sinistra.
Significativa a tal riguardo è l'orazione recitata dal sacerdote celebrante durante la messa del 16 agosto, festa del santo:" Custodisci, o Signore, il tuo popolo con assidua protezione e amore, e per i meriti del beato Rocco difendilo da ogni contagio dell'anima e del corpo".
La venerazione, pertanto, a San Rocco diffusa in tutto l'Altopiano è in qualche modo legata alla comparsa in Europa della terribile "peste nera", l'epidemia scoppiata in tutta la sua virulenza nel 1348-1350 e ricomparsa poi più volte: nel 1360-1363, nel 1371-1374, nel 1381-1384 e ancora successivamente, generando un'impressionante salasso della popolazione europea.
Non essendovi medicine in grado di salvaguardare le popolazioni dal contagio e tanto meno di guarirle e ritenendo che la peste fosse un castigo di Dio per i peccati degli uomini, non vi era altro mezzo o via di scampo che affidarsi alla bontà e misericordia del Signore e alle capacità taumaturgiche dei santi, come San Rocco.

Successivamente l'oratorio venne dedicato alla Madonna delle Grazie e in quella occasione fu collocato all'interno del piccolo tempio un "capolavoro d'intaglio in legno, che rappresentava l'immagine di Santa Maria delle Grazie".

Una menzione particolare merita la visita alla chiesetta fatta dal Cardinale Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova e animatore del seminario secondo le indicazioni del Concilio di Trento, proclamato santo della Chiesa ad opera di Papa Giovanni XXIII; tale visita fu effettuata nell'anno 1664 in occasione della sua prima venuta tra le genti dell'Altopiano dei Sette Comuni.

Nell'anno 1855 l'oratorio venne completamente demolito perché pericolante a causa di insistenti infiltrazioni d'acqua, ma fu immediatamente riedificato a spese del sacerdote don Giacomo Martini "sopra un suo fondo in principio di via San Rocco", oggi via Roma.

Nel 1916 i bombardamenti austriaci rasero al suolo l'oratorio, come del resto anche tutti gli altri edifici sacri e le case stesse del paese, ma dalle ceneri risorse più splendido che mai già nel 1922 a cura del Commissariato per la ricostruzione. Il 24 agosto del 1924 l'arciprete don Primo Giacomelli lo poteva inaugurare, collocandovi una immagine della Vergine delle Grazie.

Nel maggio del 1939 veniva donata alla chiesetta una statua di Maria Ausiliatrice da parte di una signora di Torino in memoria del figlio morto in guerra sulle nostre montagne e sepolto per lungo tempo nel cimitero di guerra "Di qui non si passa".
La statua venne collocata nella chiesetta la prima domenica di ottobre dello stesso anno, dopo che le pareti interne del tempio erano state decorate dall'artista Vittorio Giacomello di Saonara.

Di pianta circolare, come sono del resto molti templi votivi costruiti nel dopoguerra, con le pareti interne scandite armonicamente da finte lesene o paraste e con una cupola, nel tamburo della quale sono riportati i versetti più significativi dell'Ave Maria, l'oratorio divenne monumento ai Caduti della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, i cui nomi si trovano a futura memoria scolpiti su quattro lastre di marmo bianco infisse sulla facciata sobria e lineare del tempio, mentre l'accesso è preceduto da due bracieri in pietra locale e in bronzo con vittorie aggettanti. Il coronamento dei bracieri porta scolpite le parole latine della preghiera dei defunti: "luceat eis" - "risplenda ad essi".
All'interno si può ammirare la splendida statua della Vergine Ausiliatrice, donata dalla signora torinese in memoria del figlio morto sulle nostre montagne, ed un quadro, di scarso valore artistico, raffigurante San Rocco con il cane, quasi a ricordare che il tempio in origine era dedicato a San Rocco.

CHIESETTA DEGLI ALPINI LOCALITA'  BUSAFONDA

CHIESETTA DEGLI ALPINI LOCALITA' BUSAFONDA

Dedicata alla memoria dell’Alpino Antonio Finco Scampit (1920-1997) e di tutti gli alpini di Gallio che, in pace e in armi, hanno fatto della propria esistenza un dono generoso e disinteressato alla propria terra e alla propria gente, esprimendo cosi le doti peculiari e distintive di chi abita e vive la montagna.